Il progetto TRUST (Tackling Under-Reporting and Under-Recording of Hate Speech and Hate Crimes Against Muslim Women) mira ad affrontare il limite rilevante di dati istituzionali e di denunce (under-recording e under-reporting) di crimini e discorsi d’odio (hate crime e hate speech) nei confronti delle donne musulmane in Italia, indagando le ragioni alla base di tale limite.
Tra ottobre e dicembre a Milano hanno avuto luogo quattro workshop nel quadro del progetto europeo TRUST, vedendo la partecipazione attiva di rappresentanti di organizzazioni della società civile, comunità musulmane, forze dell’ordine ed enti pubblici per carcare di trovare soluzioni comuni e attuabili nel contrasto ai fenomeni di odio e discriminazione in Italia.
Nel corso degli incontri, i partecipanti hanno condiviso le loro esperienze professionali e personali, riuscendo a superare i pregiudizi e decostruendo, di volta in volta, le narrative stereotipate che limitano il dialogo e fomentano il clima di discriminazione vigente: tra gli obiettivi di TRUST, vi è infatti consolidamento di una struttura cooperativa e di fiducia reciproca tra i diversi attori, specialmente nei confronti delle comunità musulmane e delle forze dell’ordine.
Tra i limiti e le lacune emerse più rilevanti si sottolinea in primis l’assuefazione delle vittime di crimini e discorsi d’odio, ovvero l’agghiacciante realtà di ritenere inutile la segnalazione o denuncia di tali violazioni che, insieme alla scarsa conoscenza a livello collettivo dei crimini e discorsi d’odio in sé, rappresentano la base dell’under-reporting e dell’under-recording, impedendone il contrasto. A questi elementi si unisce, come anticipato, la mancanza di fiducia nelle istituzioni, in particolare nelle forze dell’ordine, rafforzando narrative errate per cui dietro la divisa si celi un automa, mancante di quell’elemento di umanità necessario per accogliere, ascoltare e supportare al meglio una vittima d’odio.
Infine, risulta assente una rete strutturata a protezione delle comunità musulmane e supporto delle donne musulmane vittime di odio e discriminazioni.
Da questi primi punti emersi, i partecipanti si sono resi disponibili per cominciare a tessere questa rete, non solo per contrastare i crimini d’odio, ma anche prevenirli e agire come promotori di una più ampia azione di sensibilizzazione.
La prevenzione, come sottolineato durante gli incontri, si attua su tre livelli: primaria, amministrativa e giudiziaria. Per quanto la prevenzione primaria (che ha luogo nelle scuole, parte dall’educazione ed è intesa come motore di cambiamenti sociali) sia percepita come la più rilevante, essa gioca un ruolo in prospettive di lungo periodo e da sola non è sufficiente, ragion per cui è stata sottolineata, non solo la necessità di segnalare e denunciare gli incidenti di odio (contrasto diretto, ma anche forma di prevenzione giudiziaria per crimini futuri), ma anche di attuare misure alternative (prevenzione amministrativa) – per sopperire alle tempistiche dispendiose del processi penali, e quindi al circolo vizioso per cui le denunce sono ritenute inutili perché non si ha un esito, se non dopo anni.
Per sopperire i limiti sopracitati e proporre azioni concrete a livello preventivo e di contrasto, è stato chiesto ai partecipanti di stilare una bozza di Piano d’Azione applicabile in diverse città italiane.
Le proposte dei rappresentanti delle tre categorie, oltre ad essere molto simili in diversi punti, erano anche le une il completamento delle altre, a dimostrazione del progresso evidente nello scambio (virtuoso) dal primo all’ultimo incontro.
Tra queste, sottolineiamo la necessità di incrementare la formazione e sensibilizzazione degli attori coinvolti, necessità che presuppone una maggiore collaborazione tra il settore pubblico e privato (associazioni, comunità, forze dell’ordine, avvocati, istituzioni, ecc.), consolidata attraverso protocolli di intesa, formalizzando il contrasto e la prevenzione ai fenomeni d’odio.